Mario La Cava

 

"...Non ho mai cercato la ricchezza ad ogni costo. E la mia casa come vedi, te lo dimostra.

 Ho speso una vita per scrivere, per analizzare la Calabria. Non so se bene o male. Questo non tocca a me dirlo. Posso dire che ho fatto grandi sacrifici sperando che questa terra potesse avere una sorte migliore, come credo che avrà..."

da un'intervista a Mario La Cava - Il Regno di Napoli, 1986

 

Nasce a Bovalino l’11 settembre 1908 da famiglia piccolo-borghese. Il padre, Rocco, era insegnante (fratello dello studioso Francesco, medico ed umanista) mentre la madre Marianna Procopio era una casalinga che ebbe fama artistica nazionale per un libro ricco di ricordi e di sentimenti.

Mario La Cava frequentò la scuola in Calabria e e poi si è laureato in giurisprudenza a Siena, rientrando quasi subito in Calabria dove ha vissuto quasi ininterrottamente. Non ha mai intrapreso l'attività professionale dedicandosi interamente al mestiere di scrittore ed entrando in contatto con alcune delle personalità più rappresentative della cultura italiana contemporanea (Leo Longanesi, Montale, Vittorini, Bonsanti, per ricordare soltanto alcuni nomi).

La sua narrativa si contraddistingue per la semplicità espressiva e, per i temi trattati, si pone a difesa degli umili descrivendo le loro sofferenze. Parlando del suo scrivere così disse di se stesso: "… spero di aver pure dato una voce ai più umili della mia terra…"

Il suo primo lungo racconto, "Il matrimonio di Caterina" del 1932, fu apprezzato da Pannunzio, Alvaro, Moravia e da lettori attenti come lo storico del Cristianesimo Ernesto Buonaiuti. L’opera fu pubblicata nel 1977 dopo ben 45 anni dalla sua stesura. Questo libro riuscì ad avere un buon estimatore in Luigi Comencini (Mario La Cava gli ricordava Flaubert) che ne trasse un film per la televisione. La critica nazionale fu colpita benevolmente dalla semplice ed umana espressività dello scrittore ed il giornale francese Le Monde ebbe parole di grande ammirazione sia per il libro che per la trasposizione filmica di Comencini.

Mario La Cava, scrittore che non si è piegato alle mode culturali, esordisce con il suo libretto più famoso, "Caratteri" nel 1939 (ristampato con nuovi scritti nel 1953 e nel 1980). Seguono altre pubblicazioni: "I misteri della Calabria" (1952), "Colloqui con Antonuzza" (1954), "Le memorie del vecchio maresciallo" (1958), "Mimì Cafiero" (1959), "Vita di Stefano" (1962), "Viaggio in Israele" (1967, ristampato nel 1985), "Una storia d’amore" (1973), "I fatti di Casignana" (1974), "La ragazza del vicolo scuro" (1977), "Terra dura" (1980), "Viaggio in Lucania" (1980), "Viaggio in Egitto e altre storie di emigranti" (1986), "Tre racconti" (1987), "Una stagione a Siena" (1988), "Opere teatrali" (1988), "Ritorno di Perri" (1993), "Mario La Cava, Personaggio ed Autore" (1995). Altri inediti (favole, racconti, romanzi, saggi) attendono ancora un editore.

Il periodo della sua maggior fortuna coincise con gli anni cinquanta. In seguito, lo scrittore calabrese ha intrapreso la via del romanzo intensificando sempre più il suo impegno morale e civile. Con I fatti di Casignana (1974) La Cava ha cercato di affrontare in chiave politica e sociale la "questione contadina", ma si è trattato di una parentesi, di un evento isolato che non avuto alcun seguito.

Presentando i "caratteri" del 1953 Elio Vittorini scrisse che "Mario La Cava ... Coltiva un suo genere speciale di brevissimi racconti in cui fonde il gusto dell'imitazione dei classici e lo studio naturalistico del prossimo... (...)".

Ancora l’amico Leonardo Sciascia con un articolo pubblicato nel 1987:"… le cose di La Cava costituivano per me esempio e modello del come scrivere: della semplicità, essenzialità e rapidità cui aspiravo".

Dopo un periodo d’oblio, lo scrittore calabrese è stato riscoperto grazie al film televisivo di Luigi Comencini, tratto dal suo primo racconto “Il matrimonio di Caterina” (scritto nel 1932 e pubblicato soltanto nel 1977), ed è stato rivalutato nella sua grandezza grazie al convegno su di lui tenutosi nel 2000 presso l’Università “La Sapienza” di Roma, con la pubblicazione del saggio “La narrativa di Mario La Cava nella letteratura italiana del Novecento” a cura di R. Nisticò (2001).

L'ultimo periodo della sua esistenza (è morto a Bovalino il 16 novembre 1988) è stato contrassegnato da una relativa inattività.

La stampa nazionale e le istituzioni riconobbero questo prestigioso scrittore figlio della Calabria e l’allora Presidente della Repubblica On. Francesco Cossiga con un sentito telegramma alla famiglia ricordò "… con commozione il lungo e prezioso contributo offerto alla cultura meridionale con particolare sensibilità e riservatezza dello scrittore calabrese".

I suoi libri esaltano i valori della cultura meridionale, sono concentrati sull’ambiente contadino calabrese, e parlano con empatia di emarginazione e sofferenza. Nella raccolta di saggi “Storia dell’emigrazione italiana”, Sebastiano Martelli - parlando di La Cava e dei suoi emigranti - così scrive: «Mario La Cava ripropone un’emigrazione carica di sensi di sconfitta, parentesi che non può modificare il destino delle origini; il sogno americano è assunto in chiave ideologica e letteraria... I suoi personaggi sono quasi tutti emigranti rientrati, l’esperienza migratoria non è servita a lenire le lacerazioni, gli intoppi, anzi, spesso ne ha aggiunti altri e il ritorno, più che dettato dalla nostalgia, è un approdo obbligato, quasi di animale ferito che va a morire nella sua tana.». Come dimenticare le sue eroine che accettano passivamente matrimoni senza amore, combinati in America o in Australia, abbandonando sconfortate i solidi affetti familiari e accettando la separazione dall’amata terra natia (Mariarosa sale, sulla nave che parte, «come un uccellino; e come un uccellino che ha perduto la voce, muore ai sogni della vita bella, per precipitare negli abissi delle cose finite per sempre»), o come dimenticare Pina, la donna infelice che, abbandonata dal marito andato in America, è costretta a cedere il figlio più piccolo alla nuova donna di lui (pur sapendo che lo perderà come ha perduto il marito). Nel suo già citato capitolo “Dal vecchio mondo al sogno americano”, Martelli conclude: «Agli emigrati rientrati di La Cava l’America non ha cambiato lo “status” profondo, antropologico; spesso essi ritornano all’antica miseria, all’atavica condanna della loro origine come se il tempo fosse passato invano.».

 

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