Altitudine

12 m slm

Superficie

29,99 Km2

Abitanti

4.245

Densità

141,55 ab/Km2

CAP

89032

Nome abitanti

bianchesi

Santo patrono

Madonna di Pugliano

Giorno festivo

15 agosto

 

 

 

Le origini di Bianco sono incerte: secondo l’ipotesi più attendibile, sorse tra il IX e il X secolo quando alcuni coloni greci, sfuggiti alle scorrerie dei Turchi, si rifugiarono parte nell’attuale territorio di Bianco e parte in quello della contrada Potamia (oggi San Luca).  Anche sul nome c’è incertezza: alcuni storici sostengono si chiamasse Uria o Oria mentre, secondo lo studioso Tedesco, la città venne chiamata Butroto, dal nome del fiume che vi scorreva vicino e, probabilmente, assunse il nome di Bianco in riferimento al colore chiaro delle sue colline argillose. L’antico centro urbano era circondato da poderose mura di cinta nelle quali si aprivano tre porte d’accesso alla città: ad oriente, ad occidente e a mezzogiorno. C’erano poi i tre borghi detti Catamotta, Zoparto e Pardesca.

Se degli ultimi due si conserva ancora oggi il nome, del primo si sono perse le tracce.

A quel tempo Bianco rappresentava uno dei centri più importanti per cultura, attività amministrativa e per le enormi risorse economiche legate alla fertilità del terreno. Nel 1496 la città fu a capo di una baronia concessa da re Federico II al messinese Tommaso Marulli a cui si aggiunse la contea di Condojanni. Da tale baronia dipendevano Crepacore, Bruzzano, Potamia, Bovalino e Panduri (oggi Careri). Verso la fine del XVI secolo la proprietà passò al principe di Roccella, Fabrizio Carafa, allora marchese di Castelvetere, a cui appartenne fino al XIX secolo. Bianco fu un importante centro religioso, qui, infatti, furono costruiti numerosissimi luoghi di culto.

Nel 1632 suor Maddalena Muscoli fondò persino un Conservatorio di Vergini (casa religiosa di sole donne). Nel XVI secolo la popolazione complessiva di Bianco raggiunse i duemila abitanti ma il terremoto del 1783 bloccò la crescita demografica. Il sisma fu talmente violento che distrusse il centro urbano e contrada Catamotta i cui abitanti furono costretti a trasferirsi alla marina di Pugliano, seguendo le famiglie Ielasi e Salvadori che vi possedevano le ville in campagna. Qui fu riedificato il paese, secondo uno schema a scacchiera riconducibile alla cultura illuminista. Da questo nucleo di disperati ebbe origine il nuovo paese di Bianco detto, appunto, Bianconovo, per distinguerlo dal centro abitato abbandonato (oggi detto Bianco Vecchio). Nel 1847 Bianco partecipò ai moti per l’Unità d’Italia pagando a caro prezzo la sconfitta. La mattina del 3 settembre, infatti, fu proclamata l’insurrezione antiborbonica e negli scontri che ne seguirono, il 4 ottobre del 1847, morirono cinque giovani ricordati come “I martiri di Gerace”. Tra questi anche il bianchese Domenico Salvadori. A loro è dedicata un’epigrafe posta sulla facciata del Municipio di Bianco.

Il borgo Zoparto è stato completamente abbandonato dopo il terremoto del 1908.

Il borgo conserva ancora i resti testimoni del suo passato; in località Zòparto vi è la chiesa del Soccorso, risalente all’XI sec. Ma rifatta nel XVII; in località Crocefisso interessanti sono i ruderi della chiesa di Santa Maria della Vittoria annessa e dun Convento dei Minori Riformati risalente al secolo XVII.

Nella frazione di Pardesca, i ruderi delle vecchie case disabitate da tempo, il marrone bruciato della pietra consumata e il verde degli alberi segnano un vistoso contrasto con l’argilloso tappeto bianco.

Nell’attuale abitato è da visitare la Chiesa matrice o di Tutti i Santi (XIX sec.) e il Santuario di Santa Maria di Pugliano.

Costruita negli anni Trenta, la Chiesa Matrice ha una facciata sulla quale sono poste statue in marmo di vari Santi. All'interno c'è un antichissimo dipinto di Maria SS di Pugliano (realizzato in sovrapposizione a un'altra tela raffigurante un gentiluomo), una statua di alabastro del 1530 che rappresenta Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto (posta su un piedistallo ottagonale con scene bibliche) e un olio su tela del 1656-57 su cui sono ritratti San Michele Arcangelo e San Giovanni Battista (opera di Francesco Cozza di Stilo).

Santuario Maria SS di Putigliano

Situato alla marina, l'edificio fu realizzato tra il 1500 e il 1600 nella stessa zona in cui fin dal 1200 esisteva il monastero basiliano di Pugliano. Una parte del santuario, infatti, è stata ricostruita sui resti della vecchia abbazia. Le prime notizie certe dell'esistenza del monastero risalgono al 1328 quando venne nominato abate frate Neofito, appartenente all'Ordine dei Basiliani. Altro dato certo è che nel 1457 l'abate era Marcus De Canturibus, proveniente dal santuario di Maria SS di Polsi. Non si hanno, invece, notizie sulla distruzione dell'abbazia e neanche della sua ricostruzione, avvenuta probabilmente alla fine del 1500. Alla fine del XVII secolo il santuario diventò commenda della chiesa di Santa Maria Maggiore di Roma. A causa del terremoto del 1783 la maggior parte dei beni contenuti nella chiesa furono venduti attraverso la Cassa Sacra istituita dal governo del Regno di Napoli. Nel 1784 l'edificio venne trasferito nella zona di Putigliano.

Il santuario ha un'unica entrata. La porta d'ingresso, sormontata da uno stemma, è affiancata da due colonne incassate che si sviluppano per tutta l'altezza dell'edificio. Sopra una finestra ad arco. L'interno, a una sola navata, è interamente in stucco lavorato. In fondo l'abside. Sull'altare c'è una pergamena con la scritta "Ave Maria" (circondata da quattro colonne verdi, due per lato) e un piccolo tabernacolo. Ai lati della navata si aprono delle nicchie con statue di Santi.

Sono ancora visibili i resti delle precedenti costruzioni: sul lato meridionale i resti risalenti al XVII sec. E dietro l’abside, tracce di muri probabilmente cinquecenteschi.

La leggenda vuole che il Santuario custodisse un’icona cinquecentesca raffigurante l’immagine della Vergine, portata dai monaci bizantini dalla Siria, per salvarla dalle persecuzioni iconoclaste.

In onore della Madonna di Pugliano, a ferragosto avvengono dei festeggiamenti che culminano con lo spettacolo dei fuochi artificiali sull’acqua.

Il Greco di Bianco

Bianco è famoso per i pregiati vini che produce. I più conosciuti il "Greco", che ha anche ottenuto il Doc, e il "Mantonico". Entrambi hanno meritato premi e riconoscimenti a livello nazionale.

La cultura vinicola è sempre stata presente nella storia di Bianco. Sembra, infatti, che le primi viti siano state portate nel territorio da alcuni coloni greci sbarcati a Capo Bruzzano (VIII secolo). Gli Elleni, probabilmente, introdussero nuove varietà di uva. Le prime notizie sull'esistenza di un vino bianco dal sapore delizioso risalgono al XVI secolo quando i Marulla, feudatari di Bianco, lo esaltarono in un rapporto inviato al governatore del Regno di Napoli. Soltanto nel XX secolo, però, si hanno notizie certe sulla produzione del "Greco". Questo vino, dal colore giallo ambrato e dal particolare profumo di zagara, è stato più volte definito "nettare degli Dei" e nel 1980 gli è stato attribuito il marchio Doc. Il "Greco" è ottenuto dall'uva lasciata seccare al sole su graticci di canne o su basi in legno. Si tratta, infatti, di un vino passito dal gusto caldo e morbido che va consumato da solo (come aperitivo) o da gustare con pasticceria secca, formaggi piccanti e frutta.
Insieme al "Greco" sul territorio di Bianco si produce anche l'ottimo vino "Mantonico" (colore giallo citrino e sapore pieno). Il suo nome deriva dal greco mantonikòs (profeta). Si credeva che questi vini avessero virtù divinatorie, afrodisiache e terapeutiche. Il "Mantonico" era particolarmente apprezzato dai sacerdoti dell'antica Locri Epizephiri.

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