Altitudine

432 m slm

Superficie

28,3 Km2

Abitanti

769

Densità

27,17  ab/Km2

CAP

89040

Nome abitanti

canolesi

Santo patrono

San Nicola di Bari

Giorno festivo

6 dicembre

 

 

 

Canolo fu fondata ai tempi delle invasioni saracene. Tra i secoli VII e IX la Calabria fu fatta oggetto da parte degli arabi di dure invasioni che non sfociarono però in una occupazione duratura (come in Sicilia) ma si limitarono a scorrerie e depredazioni. Nel 952 gli arabi attaccarono la città di Gerace e costrinsero gran parte della popolazione a rifugiarsi nelle zone più interne: è ipotizzabile che fu proprio in questa occasione che prese vita il primo nucleo abitativo di Canolo.

«Eravamo quindi diretti a Canolo, che ci era stato descritto dai nostri amici di Gerace come un “luogo tutto orrido, ed al modo vostro pittoresco”.»

(Edward Lear, Diari di viaggio in Calabria e nel regno di Napoli)

 

Canolo fece parte per lungo tempo del principato di Gerace, ne fu casale e seguì la sorte che fu comune a tutti i piccoli territori e villaggi, cioè passò di mano in mano nelle compravendite, nelle guerre e nei giochi dei potenti, così appartenne ai vari rami dell'autorevole famiglia dei Caracciolo, poi fu di Alberico da Barbiano, passò agli Aragona, in seguito andò in mano a Stuart d'Aubugny e successivamente in quelle del Gran Capitano Consalvo di Cordova, successivamente appartenne alla famiglia De Marinis e poi, infine, ai Grimaldi. Nel 1783 fu colpito dal terremoto. Intorno al 1797 aveva 1570 abitanti e vi si praticava l'allevamento dei bachi da seta. Il 19 gennaio 1807 Giuseppe Bonaparte emanò un provvedimento amministrativo che classificò Canolo come università e con il nuovo assetto del 4 maggio 1811, ad opera di Gioacchino Murat, Canolo divenne comune con aggregata la frazione di Agnana. Tale assetto fu confermato da Ferdinando IV Borbone il 26 agosto 1816. Agnana rimase frazione di Canolo fino al 1941. Nel periodo borbonico, ebbe il suo apice l’attività estrattiva, data la presenza di minerali, quali bario, lignite, gesso; nonchè il lavoro nelle miniere di rame, visitate persino dal re nel 1846. Dopo l'alluvione del 1951, il paese fu ricostruito più a monte, in località Piani della Milea, a 1000 metri s.l.m., assumendo il nome di Canolo Nuovo. Da allora, il vecchio centro storico è stato oggetto di interventi di messa in sicurezza, con la costruzione di muri di sostegno, sistemi di drenaggio, briglie per contenere i movimenti franosi.

Il nome di Canolo è di derivazione latina, Canalis (canale/fontana), riferimento preso probabilmente da una sorgente vicina detta Canale. Si pensa che la zona sia abitata da lungo tempo perché sono stati rinvenuti resti del periodo neolitico sull'acrocoro di Prestarona (dal greco”colombaia”) e nella grotta di Kau (dal greco baratro/voragine”).

Il paese è sovrastato da Monte Mutolo, le cui guglie vengono denominate “Dolomiti del Sud” per la loro particolare conformazione.
Al di sotto di queste maestose conformazioni si trovano le cave di pietra rossastra, che costituiscono la principale fonte di lavoro per gli abitanti del luogo. Nel territorio di Canolo è diffusa la presenza di grotte dal grande potere suggestivo: le principali si trovano in località Prestarona e Zuparia.

È incastonato sulla parete di roccia carsica che si eleva tra le fiumare Novito e Pachina, che hanno scavato due bellissimi canyon a cornice dell’abitato.

 

Di particolare interesse una fonte di acqua oligominerale che ha proprietà diuretiche.

Il suo territorio comprende anche aree pianeggianti di grande estensione, soprattutto in località Milea, che, tra l'altro, è un importante centro di villeggiatura estiva, ricco di numerose sorgenti naturali. Molto interessante appare subito il centro abitato, pittoresco e poetico. Si offre, infatti, allo sguardo del turista un paesaggio fantastico, in cui le case sono costruite una sull'altra, fra le viuzze strettissime che si stringono l'una all'altra.

La natura di Canolo è natura di contrasto. Valli e monti si alternano, accompagnati da grotte calcaree. Vastissime pinete e faggete circondano le 19 contrade, tutte abitate. Le splendide vedute panoramiche, descritte da Edward Lear (pittore e scrittore dell'ottocento) nel suo "Diario di un viaggio a piedi", hanno reso celebre questo comune del Reggino. Un'interminabile strada, via Roma, lungo cui si snodano le vecchie abitazioni, attraversa il paese. I vicoli del centro storico sono contornati da splendidi palazzi del passato, antichi fasti dei signori del luogo di cui ormai rimane ben poco.

Viale Europa - Canolo NuovoMolto diversa Canolo Nuova. Un centro di case ordinate, tutte uguali, che presentano una perfezione quasi geometrica.
Canolo Nuovo sorge nei pressi del centro montano di Zomaro (Cittanova) ed è caratterizzata da recenti costruzioni.

A Canolo Nuova è oggi presente la chiesa della Madonna delle Nevi, in piazza XXV Aprile.Chiesa Madonna della Neve a Canolo Nuovo

 

Interessante l'acqua oligo-minerale che sgorga nei pressi dell'abitato. Aree attrezzate di pic-nic.

La chiesa di San Nicola di Bari

Eterno cantiere", emblema negli anni, delle condizioni di dissesto e pericolo che hanno sempre dominato il paese ed ancora oggi simbolo di questa situazione. Fu consacrata il 7 ottobre 1753 dal vescovo Rossi e, per concessione del vescovo Scoppa, fu elevata ad arcipretura. Già nel 1723 era stato eretto l'altare del S.S. Crocefisso, ad opera del sacerdote Paolo Fazzari di Antonimina. L'11 settembre 1777 fu installata nella cappella del S.S. Rosario la confraternita. Il 21 maggio del 1843 fu consacrato l'altare maggiore.

 

La bacchetta di San Nicola

Si narra che in una roccia delle "Dolomiti del sud", nei pressi dell'imbocco della strada che porta al torrente Pachina, la pioggia battente abbia formato una striscia simile alla bacchetta di San Nicola che protegge il paese da ogni disgrazia.

Santuario della Madonna di Prestarona

Madonna di Prestarona è l'appelativo con cui nell'omonimo santuario situato nel territorio del comune di Canolo viene venerata Maria, madre di Gesù, la cui festa cade la prima domenica di Pasqua. È particolarmente venerata dagli abitanti di Gerace e Canolo.

Il santuario, che si trova sull'Aspromonte orientale nel territorio del comune di Canolo, si raggiunge seguendo la SP1 (ex SS111) e imboccando quindi l'apposita strada che si trova prima di Gerace.

Il santuario nacque come grancia del monastero di San Filippo d'Argirò da cui era distante due chilometri. Le notizie che si rinvengono in una platea risalente al 1507, conservata nell'Archivio Capitolare di Gerace, avallano quanto già si sapeva riguardo all'antichità della venerazione della Madonna di Prestarona e sui nuclei abitativi che sorgevano nei pressi del convento dove è ubicata. Nel documento è scritto che i monaci basiliani del monastero di San Filippo d'Argirò presso Gerace possedevano, già prima dell'anno mille, la chiesa di Nostra Signora di Prestarona e, secondo l'Oppedisano nella sua Cronistoria della diocesi di Gerace, ogni martedi vi cantavano le lodi alla Madonna (Akàtisto).

Un'altra testimonianza dell'antichità di questa Madonna è riscontrabile in alcune monete coniate presso Mileto, dai normanni, che recano impressa proprio la sua effige con in braccio il bambino che gioca con una colomba. Questo volatile è il suo elemento distintivo, essa infatti prende il nome proprio dalle numerose colombe che si affollavano intorno all'acrocoro omonimo, – dal greco περιστερεων (colombaia) – cosa probabilmente dovuta alla posizione elevata del sito. La colomba fu poi immortalata nelle mani del bambino a simboleggiare sia la pace che lo spirito santo; l'unica icona attualmente esistente che raffigura il bambino in braccio alla Madre di Dio mentre che gioca con due colombe, la Madre di Dio Konèvscaja, si trova presso il monastero di Konef in Russia e proviene dal monte Athos.

Nella cattedrale moderna di Gerace la madonna Assunta è raffigurata sull'altare maggiore in un dipinto insieme a San Filippo e a San Jejunio mentre la statua lignea della Madonna di Prestarona, risalente al 1300 e scolpita personalmente da Tino da Camaino o da alcuni allievi della sua scuola pisana, è ospitata nella cappella dell'Itria, che si trova all'interno della cattedrale di Gerace, dove vi risiede stabilmente dal 1976.

Prima di questa data essa subì varie peregrinazioni dai campi alla chiesa ma ora in mezzo ai campi è rimasta solo una copia della statua autentica; la statua lignea che si trova nella chiesa e si venera sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie fu realizzata nel 1869 dallo scultore Rocco Larussa.

Dopo la scomparsa dei monaci i beni dell'abbazia, tra cui la chiesa, passarono a degli abati commendatari che fecero costruire un romitorio in cui vissero gli eremiti che curarono la chiesa fino a metà degli anni '70. Nel 1813 il procuratore del cardinale Pallavicini fece ingrandire il romitorio. Successivamente la chiesa passò al capitolo cattedrale di Gerace che nominò un procuratore con l'obbligo di celebrare la festa il 1° giovedì dopo la Pasqua.

Nel 1862 il Vicario Capitolare Michele Sirgiovanni ingrandì a proprie spese la chiesa e fece selciare la strada che dalla chiesa conduce all'edicola dove si trovava la statua della Madonna. Nel 1906 venne aggiunta la sala per ospitare il capitolo e il vescovo durante la festa e nel 1911 fu edificata la sacrestia; successivamente negli anni '30 ed anche in seguito sono stati eseguiti lavori di restaturo.

Leggende collegate

Le vicende collegate agli spostamenti della statua non potevano non far sorgere, nelle fantasiose menti del popolo calabrese, una delle tante leggende che girano intorno a molti santuari di questa regione; così il popolo si convinse che San Filippo, San Jejunio e la Madonna erano due fratelli e una sorella che abitavano presso un convento in contrada San Filippo.

Mentre San Jejunio si recava a pregare nella contrada che oggi porta il suo nome e San Filippo restava in convento, la Madonna si allontanava continuamente senza dire dove andasse. Una sera i monaci la seguirono e la scoprirono a pregare presso il luogo dove oggi sorge la sua cappelletta.

Altre volte la trovarono a pregare su un albero di gelso ed ancora nei pressi di un masso dove oggi sorge la chiesa. Una sera, racconta la leggenda, ella non fece più ritorno al convento ed i monaci, che uscirono ancora una volta per cercarla, la trovarono tramutata in pietra.

Raccontato l'accaduto al vescovo questi organizzò una solenne processione che condusse la statua nella cattedrale di Gerace ma la mattina seguente, inspiegabilmente, la madonna ritornò presso quel masso. Una processione ancora più solenne la riaccompagnò a Gerace ma il giorno dopo fu nuovamente trovata in mezzo ai campi. Il vescovo allora capì le intenzioni della Madonna e fece costruire, proprio sopra quel masso, il santuario a lei dedicato che venne abitato dai monaci basiliani.

Quando questi se ne andarono, qui la leggenda si mischia con la storia, affidarono la madonna ad un eremita che ebbe sempre cura di tenere accesa la lampada di fronte alla statua.

 

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