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L'origine di Ciminà potrebbe in qualche modo essere collegata alla distruzione di Locri (attaccata dai musulmani che devastarono la città nel X secolo) e al conseguente esodo della popolazione nell'entroterra circostante che diede vita a nuovi centri. Sembra, infatti, che il suo primo nucleo di abitanti sia originato da un gruppo di pastori provenienti da due di queste novelle comunità (Condojanni e Sant'Ilario dello Jonio) che erano soliti pascolare e coltivare il grano proprio sui due dorsali che oggi fanno da corollario a Ciminà, soggiornandovi anche per lunghi periodi. Le notizie certe della storia di questo borgo, però, risalgono al XVII secolo quando fu costruita la prima chiesa. Inizialmente il paese fu casale della contea di Condojanni e per un lungo periodo ne seguì le sorti. Questo territorio fu donato dagli ultimi re aragonesi ai Marullo di Messina. Nel 1557 Vincenzo Marullo, gestendo male il patrimonio familiare, contrasse molti debiti che lo costrinsero a vendere le proprietà ai Carafa di Roccella. Da allora il casale di Ciminà passò sotto il dominio della famiglia Carafa e vi rimase fino al 2 agosto 1806 (anno dell'eversione della feudalità). L'ordinamento amministrativo disposto per legge il 19 gennaio 1807 lo riconobbe "Università" nel governo di Gerace. Nel 1811 divenne Comune, sempre però sotto la giurisdizione di Gerace. La situazione non mutò neanche in seguito al riordino generale della Calabria disposto dai Borboni (1816). La punta massima di residenti nel Comune si ebbe nel 1901 (con un totale di 2243 abitanti). Nel 1961, a causa della massiccia emigrazione verso i paesi europei ed extraeuropei in cerca di lavoro, si scese a 1742. Il nome di questa cittadina collinare, che conta oggi 748 abitanti, deriva dal greco kyminà, posto dove cresce il cumino, una pianta alta 30-40 cm, volgarmente chiamata ciminaia, della famiglia delle ombrellifere, i cui semi sono usati sia in cucina (soprattutto per conservare i cibi o per farne un liquore chiamato kumeel) che in medicina. Immerso completamente nel Parco Nazionale dell'Aspromonte, il paese si presenta nella parte più a valle del territorio sormontato dal monte Tre Pizzi. Una maestosa parete di roccia che sembra proteggerlo dall'alto. Il centro abitato è tutto raccolto tra le due chiese principali e si affaccia naturalmente nella valle della fiumara Condojanni.
Elementi architettonici di un certo interesse si possono notare
nella parte bassa e centrale del paese, in numerose abitazioni.
Tuttavia è la parte alta di Ciminà a suscitare maggiore interesse e
a divenire dunque vero obiettivo dei turisti, a causa delle vie,
strette una all'altra in un immaginario labirinto, e delle
abitazioni, costruite in una pietra tufacea dai riflessi violacei,
rara in Calabria. Vi si trova la chiesa di San Nicola di Bari, risalente al XVII secoloma ricostruita nel 1930. È la Chiesa principale , quella dove ancora oggi viene celebrata la Messa. È caratterizzata da un altare marmoreo con statua in legno, raffigurante il Santo Protettore, che ha sostituito la tela dipinta ad olio di autore ignoto del secolo XVII, peraltro conservata nello stesso luogo sacro. Fu danneggiata dal terremoto del 1783, restaurata a spese del comune, demolita poi nel 1929 per i gravi danni prodotti dal terremoto del 1908 e nuovamente restaurata nel 1930/31. L'ultimo restauro è del 1982. Degna di particolare rilievo anche l'insolita struttura a quattro navate. A Ciminà sopravvive l'antica produzione del caciocavallo, tradizione gelosamente custodita dai pastori dell'Aspromonte.
Percorso naturalistico
Sentiero delle otto fontane (punti ristoro) Leggenda
Vi è una leggenda narrata dai vecchi di Canolo, che collega la
fondazione del casale di Ciminà al nome di uno dei fratelli Mina,
profughi della Locride durante le invasioni barbariche del X secolo.
Si narra, infatti, che Carlo Mina avrebbe fondato Canolo, Antonio
Antonimina, Francesco "Cicciu in gergo" Ciminà.
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