Africo, la strada dei condannati a morte
I tumori falciano 33 persone nella stessa via
Picco di tumori, i sospetti su rifiuti tossici
interrati
Pentiti hanno parlato di sversamenti nell’Aspromonte
AFRICO (Reggio Calabria) – La via Giacomo Matteotti di Africo tutti la
conoscono come la strada dei «condannati a morte». Qui il cancro
si è portato via la vita di giovani, adulti e anziani, di uomini
e donne. In questa lingua di asfalto lunga 200 metri, che dalla
provinciale si allunga sino alla caserma dei carabinieri, oggi
vivono 50 persone, 20 famiglie in altrettanti complessi edilizi.
E negli ultimi tre anni 33 vite, in questa via, sono state
spezzate dal cancro. Africo è un comune della Locride di 2.850
abitanti dove negli ultimi quindici anni sono morte per tumore
180 persone. E almeno un centinaio, oggi, combattono la malattia
e sono in terapia. È una strage che sembra non avere fine.
IL REGNO DI TIRADRITTO
- Nel regno incontrastato di Giuseppe Morabito «U Tiradritto»,
il boss catturato nel 2004 a settant’anni, dopo dodici di
latitanza, su ogni uscio è visibile il fiocco nero del dramma.
Metà dei decessi nella via Matteotti sono avvenuti dentro le
case popolari costruite dall’Istituto autonomo nel 1953. Il
«male» non ha risparmiato neanche un nascituro, già colpito dal
cancro quando ancora era nel grembo della giovane madre.
LA PETIZIONE - In
paese, però, c’è chi non si è arreso. Antonio Pratticò è un
signore di mezza età molto combattivo. Nella lotta contro il
male ha perso la sorella
Maria Grazia, deceduta a 42 anni. «Da quel momento la mia vita è
cambiata – dice -. Ho deciso di occuparmi dei tumori di Africo e
ho iniziato a stilare una mappa per capire chi sono le persone
decedute, la loro età, il luogo dove vivevano». Totò Pratticò ha
messo su una petizione popolare alla quale hanno aderito 1800
concittadini e l’ha spedita al capo dello Stato, ai presidenti
delle Camere, alle istituzioni calabresi e all’Asp. Qualcuno,
sottovoce, in paese, punta il dito sui rifiuti tossici. Molti
pentiti ne hanno parlato, da Francesco Fonti ad Antonino Lo
Giudice, «Il Nano», il pentito scomparso l’estate scorsa dalla
località protetta dove scontava gli arresti domiciliari e
arrestato a Reggio Calabria nei giorni scorsi. Lo giudice «si
ricorda di aver sentito parlare Pasquale Condello detto Il
Supremo, catturato dopo venti anni di latitanza, di rifiuti
radioattivi da buttare in mare o in montagna». E nelle
intercettazioni dell’inchiesta «Saggezza», un «Capo Corona»(dote
di ’ndrangheta, ndr)
della Locride Vincenzo Melia e il suo “consigliori” Nicola
Romano parlano preoccupati perché «sospettano una fonte
radioattiva sotterrata nei Piani…, sulla montagna». «Non si
capisce niente… se è vero o non è vero che persone si sono
prestate per soldi…» dice uno. «Queste cose sono cose degli anni
70… Perché c’è un camion che è bruciato. Dietro al camion c’è
una fossa...» sostiene l’altro. I due citano due boss, Filippone
e Peppe Barillaro. «Allora c’erano loro in queste montagne.
Allora loro li hanno interrati queste cose in montagna, glieli
passavano i “Pianoti” (gente della Piana di Gioia Tauro)».
I SERVIZI SEGRETI -
Emblematica poi l’audizione del direttore dell’Aisi Giorgio
Piccirillo ascoltato a luglio del 2011 dalla Commissione
parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Il tema
dell’audizione erano due distinte note dei servizi segreti che
riferivano «l’interesse di Giuseppe Morabito, ”U Tiradritto”
che, in cambio di una partita di armi, diede l’autorizzazione a
far scaricare nella zona di Africo un quantitativo di scorie
tossiche, presumibilmente radioattive». In Provincia di Reggio
Calabria si cercano le case costruite con i mattoni composti da
argilla e rifiuti tossici. Quelli provenienti dalla centrale
Enel di Brindisi, per esempio. Come ha accertato il Corpo
forestale dello Stato, nel 2009, indagando su una fabbrica di
laterizi di Motta San Giovanni, ad alcune decine di chilometri
da Africo. Il sindaco di Africo Domenico Versaci, in carica dal
2007 nei giorni scorsi ha chiesto all’ Arpacal esami
approfonditi in acquedotti, case, strade e terreni per
verificare lo stato di salute del territorio.
Articolo di Carlo Macrì pubblicato sul
Corriere della Sera il 4 dicembre 2013
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