Addio Saverio Strati:
muore uno dei più grandi scrittori calabresi
E' spirato mercoledì 9 ma la
notizia è trapelata solo dopo 48 ore. A dare l'annuncio il sindaco di
Sant'Agata del Bianco, il paese del Reggino nel quale il celebre
letterato era nato 90 anni fa Saverio Strati.
Il
mondo della cultura è in lutto. Se ne va a novant'anni Saverio Strati,
uno dei più grandi scrittori calabresi di tutti i tempi. La morte è
avvenuta mercoledì 9 a Firenze, nella terra in cui da anni aveva
stabilito la sua residenza, ma la notizia è emersa solo oggi e a
renderla nota è il sindaco di Sant'Agata del Bianco, Giuseppe Strangio,
il paese della Locride nel quale Strati era nato il 16 agosto 1924. Lo
scrittore aveva chiesto espressamente di essere cremato anche se al
momento non si sa nulla sui tempi della cremazione. Da quanto si sa non
sono previste cerimonie religiose pubbliche o funerali.
IL PROFILO: RACCONTAVA LE BATTAGLIE DELLA SUA TERRA
Proprio in vista del novantesimo compleanno dello scrittore era stata
organizzata una serie di iniziative in suo onore e il presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano aveva conferito una medaglia alla
manifestazione riconsocendone l'alto valore. Ma il 2014 era iniziato con
un dolore per Strati, che aveva appreso della morte di un altro grande
nome della Calabria, Vincenzo Ziccarelli, scomparso il 6 gennaio
(LEGGI): «Qualsiasi cosa dicessi o scrivessi in questo momento, mi
porterebbe lacrime», aveva commentato Strati.
Due polmoni che hanno dato ossigeno culturale alla Calabria, Ziccarelli
e Strati. Lo scrittore di Sant'Agata del Bianco era sempre stato
affascinato dal mondo lettarario, anche quando, da giovane, lavorava
come muratore. Dopo la seconda guerra mondiale riesce a riprendere gli
studi interrotti e a conseguire il diploma. Poi si iscrive
all'Università di Messina, per studiare Medicina, secondo la volontà dei
genitori. Presto, però, riabbraccia le lettere. E nel 1953 si
trasferisce a Firenze, per completare gli studi. Appaiono i suoi primi
racconti sulle riviste Il Ponte, Paragone, e sul quotidiano Il Nuovo
Corriere. E scrive i suoi primi romanzi: La Teda e Tibi e Tascia.
Per sei anni si trasferisce in Svizzera, poi dal 1964 torna in Toscana,
a Scandicci, dove vivrà fino agli ultimi giorni. Nel 1977 il suo romanzo
"Il selvaggio di Santa Venere vinse il Premio Campiello".
Ma il tempo è ingeneroso e per Strati la vita diventa difficile. Solo
nel 2009, al termine di una campagna promossa dal Quotidiano della
Calabria, il Governo gli concede i benefici della Legge Bacchelli con un
assegno vitalizio "alla luce degli speciali meriti artistici
riconosciuti". In questi giorni, per i suoi 90 anni, sarebbe dovuto
arrivare il tributo di riconoscenza della sua gente ma Strati se n'è
andato. Schivo come sempre, nel silenzio.
Cordoglio è stato espresso anche da Giuseppe Strangio, sindaco di Sant'Agata
del Bianco, cittadina natale dello scrittore dove recentemente nella
casa dove Strati nacque è stata inaugurata una casa museo.
Pubblicato venerdì 11 aprile 2014 su il Quotidiano della
Calabria
Il ricordo di Stranieri
Ha dato dignità alla
Calabria
Vincenzo Stranieri
Saverio
Strati è senza alcun dubbio tra i più grandi scrittori italiani del
Novecento. Essere nati in Calabria, serbarla nel cuore, amarla, tradurla
in letteratura non vuol dire necessariamente essere calabresi. E’ vero
che l’humus antropologico è quello in cui si nasce, ma è pure vero che
quando uno scrittore è tradotto in diverse lingue, appassiona lettori di
mezza Europa, allora vuol dire che ci si trova di fronte a valori
universali. Strati, assieme a pochi altri grandi scrittori italiani
(Calvino, Sciascia e qualcun’altro che mi sfugge) è presente anche nelle
antologie americane. La provincia è una forma mentale e non un ambito
geografico.
Strati nel narrare il nostro meridione narra il mondo. Bisogna non
cadere nei regionalismi tantomeno nei provincialismi. O si è scrittori
universali o non si è niente. Nato in Calabria va bene, è la
definizione, statica quanto auto lesiva, di scrittore calabrese che
genera ambiguità e confusione. Questo, naturalmente, vale per qualsiasi
artista che opera sul pianeta terra. Scrittore vero è chi ha un mondo da
raccontare. E Strati lo ha, eccome. Nel momento in cui i suoi libri
incontrano il lettore la sua scrittura si spoglia dei connotati
originari e dona ai suoi interlocutori le forme di un’umanità ricca di
storia e di valori. Il problema è il modulo stilistico, la struttura
linguistica che ogni scrittore utilizza per non cadere nella trappola
del già e del già scritto. Strati è unico nel suo genere. Inventa
(meglio costruisce) un linguaggio nuovo, tutto suo, e lo dà in prestito
alla sua gente, ne diviene voce narrante. Difatti, da semplice
apprendista-muratore diviene “glossa” della sua gente, cantore del bene
e del male del Meridione, non facendo sconti a nessuno, soprattutto a se
stesso. Siamo tutti debitori di questo grande artista, mai domo,
perennemente impegnato a narrare la storia antropologica del nostro
“maledetto sud”.“ Io l’amo profondamente la mia Calabria, ho dentro di
me il suo silenzio, la sua solitudine tragica e solenne. Sento che pure
qualcosa dovrà venire fuori di lì: un giorno o l’altro dovrà ritrovare
dentro d sé ancora quelle tracce che conserva dell’antica civiltà della
Magna Grecia”. Narrava dal di dentro, dicevano, il suo stile cesellava
come pochi le forme della civiltà contadina, ne delineava le fattezze
più remote, ne sollecitava la vera conoscenza. Grande e appassionato era
il suo amore per i poveri, i diseredati al punto da estremizzare al
massimo il suo linguaggio, il suo stile iper-realista. La sua mente
conservava una sterminata galassia di personaggi: le vicende familiari,
gli esiti di una semina, i tomoli di grano prodotti, le cattive annate
dovute alla siccità o a qualche improvvida alluvione. Un amore viscerale
profondo, quasi una ossessione implacabile. In quasi tutti i suoi
romanzi, però, egli non poteva non denunciare il nostro cattivo modo di
essere, la nostra cattiva voglia di migliorare le sorti socio-economiche
della nostra terra. Sono “arrabbiature” sincere, non volevano accusare
nessuno, intendevano spronare chi era immerso nel fatalismo, quanti non
volevano/vogliono lottare contro lo status quo. Mentre il mondo cambia,
si evolve, il meridione appare pietrificato. Mentre in altri lidi è
giunta la primavera, nel Sud regna un inverno fitto, un modello sociale
che intende perpetrare le antiche regole. Non è stato uno scrittore
sfortunato, però. In quegli anni (anni’50-’60) il cinema era nel pieno
della sua espressione neo-realista, i ceti popolari erano protagonisti
di molte pellicole, e le cosiddette classi subalterne trovavano spazio e
forma nell’alveo della cultura italiana. Cosicché anche la narrativa
realista era acclamata di pari passo a quella cineasta. Anche la critica
fu dalla sua parte. Ogni sua opera era recensita con favore e in numero
notevole. Poi, però, Mondadori, la casa editrice che aveva pubblicato la
maggior parte delle sue opere, gli chiuse la porta. Strati,
conseguentemente, va in crisi, comprende che il mondo di cui è stato
testimone non riesce a trovare una collazione ottimale presso il vasto
pubblico, nemmeno in quello calabrese. Si sente solo, abbandonato. Egli
merita gratitudine e rispetto, perché- tra l’altro- ha saputo dare
dignità e fisionomia ad un mondo che, altrimenti, la cultura ufficiale
avrebbe relegato ai margini, o, nella migliore delle ipotesi,
trasformato in mero folclore. La speranza è che il suo impegno non venga
dimenticato, che le sue opere trovino giusta collocazione nelle scuole e
nelle università. Me lo auguro tanto. Ma il pessimismo, specie in una
regione come la nostra, è più che mai d’obbligo.
Pubblicato su l’Ora della Calabria”, sabato 12 aprile
2014
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